Memorie

Caserma Galliano

Caserma Galliano

Una caserma, tanti alpini, tanta storia e tanto eroismo

A chi guardi la collina di Piazza, sia dalle collinette di Fiamenga sia dalla strada che porta a Villanova, essa appare, al di sopra del Collegio della Madonnina, come un’altura che si dilunga su due punte con in mezzo un piccolo avvallamento: sulle due punte ora sorgono il Duomo della Città e la Caserma Giuseppe Galliano. Legate alle due emergenti alture c’è tutta una storia che affonda le sue radici nel Medio Evo, nel tempo delle lotte per affrancarsi dal dominio di Signori che, da lontano, avevano il diritto di vita e di morte sugli abitanti del Monteregale.

In quei tempi tanto perigliosi, sul luogo ove ora sorge il Duomo dedicato a San Donato, sorgeva un Monastero dei Francescani ed il luogo, ce lo conferma non soltanto la tradizione ma addirittura la storia, fu visitato e santificato dalla presenza del Santo Patrono d’Italia, San Francesco d’Assisi.
L’Autorità religiosa del tempo aveva fatto sorgere la Cattedrale sull’altro punto elevato come a stabilire che l’unica autorità che, in quei tempi rappresentava l’unica ancora di salvezza per gli spaventati popoli, era quella Religiosa.

Poi venne il tempo in cui l’autorità civile ebbe , in parte, un momento di ripresa, e con l’arrivo dei Principi di Savoia e la decadenza del Vescovo di Asti, anche se Mondovì aveva l’onore di essere considerata sede di diocesi, la situazione subì un’importante modifica.
Il monastero decadde, e poi si spostò in altra sede, il Vescovo diede ordine di costruire un’altra Cattedrale là ove sorgeva la chiesa del convento perché il duca di Savoia, per la difesa dei suoi stati, considerata la posizione che aveva una delle punte dell’altura del Mondovì, deliberò che si abbattesse la Cattedrale e, sulle sue ceneri, sorgesse un luogo fortificato, la cosiddetta Cittadella.

D’altra parte era anche una conseguenza logica: un attacco a Mondovì non poteva venire da Carassone perché il dislivello è grande e ripida è l’ascesa, e poi perché dal Belvedere è facile controllare tutta la pianura mentre più facile poteva essere un attacco proveniente da Vicoforte e Fiamenga.
E nella Cittadella ebbero stanza, di volta in volta, eserciti diversi, ora amici ora nemici a seconda degli esiti delle guerre che, a getto continuo, portarono dolori e lacrime e povertà e morte nelle terre del Monteregale.

La cittadella sorge poi irregolare secondo i crismi dell’architettura militare ed i costruttori dovettero tener conto del terreno su cui essa doveva sorgere: questo spiega perché, di lontano, si possano vedere quasi soltanto i due corpi di fabbrica mentre è aperto il lato verso la direttrice d’attacco; il corpo principale poi è a tre piani secondo i canoni con una scala a metà della fronte che porta ai locali a disposizione delle varie compagnie che si potevano sistemare comodamente in quanto non c’erano letti ma soltanto pagliericci e, spesso, soltanto della paglia sparpagliata a terra.
Verso la fine del 1700, poco prima e durante la Rivoluzione Francese, anche gli ideali di libertà corsero frementi per le nostre contrade con tutte le conseguenze che ben si possono immaginare.

La cittadella rappresentava però un punto di riferimento forte e sicuro, almeno così pareva, e in essa tanti Comandanti pensarono o idearono piani di attacco e di difesa che mai si poterono attuare.
Di qualcuno abbiamo nome e cognome, di alcuni abbiamo anche una buona fama, di altri abbiamo memoria triste e disonorevole, di alcuni conosciamo gli atti eroici, di altri abbiamo memoria di tradimenti e di rinunce alla lotta.
Giustamente si fa memoria del Dellera che, nella cittadella, creò quel corpo che tanto onore si fece in due secoli di storia, la Guardia di finanza e che cercò di opporsi, pur con mezzi inferiori, all’invasione napoleonica. Di alcuni Comandanti di tempi più vicini a noi non abbiamo che da essere onorati: le medaglie d’oro al V.M. che brillano vivissime al sole sono la prova lampante di tanto eroismo, iniziando da Giuseppe Galliano che nella cittadella fece i primi passi nella vita militare, al Cap. Curti, al Magg. Annoni, al Col. Manfredi, e a tanti altri, Ufficiali o semplici alpini, che dimostrarono come si serve la Patria fino all’estremo sacrificio.

La storia della Caserma, o meglio della cittadella di Mondovì, riserverebbe certamente pagine di gloria sconosciute e ci porterebbe a conoscere i giorni gloriosi che là, entro quelle mura, si vissero in questi ultimi due secoli.
Passata l’epoca napoleonica, nella cittadella ebbero sede altri reparti che, da Mondovì, partirono per i campi delle
battaglie risorgimentali e la cittadella restava là a vegliare, dall’alto, sui sonni dei monregalesi in attesa del ritorno dei suoi figli impegnati in battaglia.
Venne poi l’epoca nuova, quella che, per noi, ha inizio in quell’ottobre 1872 quando, con una firma sotto un decreto, il Re Vittorio Emanuele II dava vita ai reparti alpini.

Quanta storia, quanti episodi eroici, quanti sacrifici, quanti alpini caddero su tutti i campi di battaglia, in Patria e lontano, in terre straniere che essi, nella loro semplicità, conoscevano appena!
In un primo tempo le Compagnie alpine vennero dislocate in punti strategici delle Alpi e soltanto nel novembre 1874, finalmente, giunge a Mondovì il primo reparto alpino ma, ironia della sorte, non venne ospitato nella cittadella ma venne quartierato nel vecchio collegio dei Gesuiti : soltanto in un secondo tempo, e ben a ragione, gli alpini vennero sistemati nel luogo più idoneo, quello dal quale , come aquile, essi hanno la visione delle Alpi che sono chiamati a difendere ed a quelle Alpi, per il corso della storia che, spesso, è diverso da quello che si penserebbe, essi guardarono o dovettero guardare fino al maggio 1915 quando si invertirono le alleanze e la Francia ritornò ad essere la naturale alleata dell’Italia.
Da quel lontano 1874 alla Cittadella ed a Piazza guardarono i “forti e valorosi” giovani delle nostre valli, guardarono alla Cittadella mentre pascolavano le mandrie sulla Tura o sulla Pigna, sul Monte Moro o sul Mindino o sull’Alpet, mentre lavoravano i campi nella pianura verso Fossano o coltivavano con amore la vigna nelle Terre di Langa: in tutti era un fremito d’orgoglio di poter, all’atto dell’arruolamento, poter gridare forte e ripetutamente “Sono Alpino”, poter portare la nera penna sul cappello.

La Cittadella quanti giovani vide giungere “un po’ imbranati” e li vide tornare a casa, dopo la lunga naja che allora era di oltre 2 anni, rinfrancati, più sicuri di sé, più uomini e, soprattutto, coscienti di far parte di reparti che non hanno eguali in nessuna altra parte del mondo, orgogliosi di aver fatto l’alpino : nelle lunghe serate invernali o seduti ai tavoli delle numerosissime osterie, ricantavano le vecchie canzoni alpine e ricordavano, con nostalgia, i nomi degli Ufficiali che li avevano guidati, il nome del commilitone che aveva diviso, con lui, le lunghe ore di guardia o che dormiva nella branda accanto o che aveva, con lui, costruito ponti e strade o mulattiere in montagna con un’arte che non immaginava di possedere: e sul bureau della camera da letto spesso c’era la fotografia di un alpino che aveva posato fiero ed impettito davanti all’obbiettivo dei fotografi di Mondovì, con in bella vista il suo cappello alpino, ed ai figli che chiedevano notizie di quel soldato, egli raccontava la storia di un periodo indimenticabile della sua vita, raccontava delle veglie sui monti, nella tormenta, del lavoro, del freddo, delle marce lunghissime con sulla spalle uno zaino pesantissimo e con l’alpestok ed il fucile, delle corvéé, degli amici, di un mondo che soltanto lui poteva comprendere e soffriva di non trovare le parole adatte a farlo comprendere a chi non l’aveva vissuto come lui.

E dalla Cittadella uscivano a frotte, la sera, verso le 6, baldi alpini per la libera uscita: chi prendeva la discesa per Breo ove gli antri più che le sale delle cantine li avrebbero tenuti al caldo nelle sere invernali e avrebbero potuto cantare e bere, magari dopo essersi tolta la giubba di ruvido panno, tanto si sapeva che la ronda, ben difficilmente, sarebbe entrata a controllare.
O se le stradine ed i sentieri della collina potessero parlare ! Quante storie ora patetiche ora gioiose potrebbero raccontare! Se i muri della cittadella potessero descrivere l’ansia di giovani alpini che, andati a trovare la morosa, dovevano arrampicarsi per arrivare in camerata o il balbettio che essi usavano per giustificare quella strana via d’accesso alla cittadella quando un Ufficiale o il Capitano di ispezione, la sera, si piazzavano là dove sapevano sarebbero sbucati gli alpini arrampicatori.

Già la ronda, lo spauracchio di tutti gli alpini, specialmente quando a comandarla erano sergenti “najoni” : a passo cadenzato, percorreva le strade di Mondovì , senza mancare di fare un salto anche alla casa dalle finestre chiuse, e guai a chi fosse stato sorpreso in situazioni in contrasto coi regolamenti o non avesse fatto un bel saluto militare alla ronda stessa. La città viveva in simbiosi con la Cittadella: sveglia al mattino al suono della tromba, pranzo pronto e distribuito al suono della tromba, adunata, zaino in spalla, partenza, arrivo, schieramento della guardia, la chiamata del caporale di giornata per ricevere ordini, libera uscita, chiamata dei consegnati, visita medica, e chi più ne ha più ne metta, tutto era , in quel mondo ordinato al suono della tromba e , a dire il vero, nella Cittadella, si sono susseguiti trombettieri che lo strumento lo sapevano usare e benissimo.
A quel portone, ma molto raramente, giungevano anche mamme ansiose a vedere come stava il suo figliolo! E spesso non sapevano che il loro figliolo era inquadrato in una compagnia di cui non conoscevano il numero : per fortuna che nella GALLIANO c’erano quasi sempre soltanto le compagnie del MONDOVI !

E in città, molto spesso, scese da Piazza , passavano lunghe file di uomini con lo zaino affardellato sulle spalle anche quando andavano , a piedi, al poligono del Monte Calvario a Villanova: quasi otto Km. all’andata ed altrettanti al ritorno e, fino agli anni ‘40, con la giubba ben abbottonata fino sotto il collo : che sudate ! ! Ogni giorno lunghe file di muli passavano tra le case per la quotidiana passeggiata muli con i conducenti un po’ sbracati ma che amavano la loro mula quasi fossero un parente stretto.

Ogni giorno le carrette della corvéé passavano rumorosamente sull’acciottolato delle strade per andare a prelevare viveri, paglia e quant’altro serviva per la vita quotidiana degli Alpini. e dei loro amici , i muli.
Ogni giorno , sulla Piazza d’Armi, le voci stentoree dei Sottufficiali e dei Graduati, si alzavano ad ordinare i movimenti, lunghi, duri, e con le conseguenze che si possono immaginare, dell’ordine chiuso: non per nulla gli alpini, che una vena poetica possedevano in abbondanza, composero versi e musica della canzone “a la matin bunura, im portu in piasa d’armi a fé istruziun, an fan marcé in avanti e poi in daré …e a nuiatri alpini a fan mal ai pé” ed è comprensibile la cosa quando si pensi agli scarponi ferrati che dovevano portare ed al peso del fucile mod. 91 !

E poi nella vecchia caserma a mangiare tubi e brodo oppure brodo e tubi e, quando c’era la carne, spesso era carne non certamente di prima qualità , anche per colpa di certi commercianti -appaltatori, anzi …, e ancora la vena poetica degli alpini parla di carne grassa da dare agli altri …!
E , perché la cittadella non fosse portata via o occupata di sorpresa, non si era mai certi di uscire in libera uscita perché la lista dei consegnati, in certe compagnie, era sempre abbastanza lunga , a seconda degli umori di ufficiali e sottufficiali o graduati “najioni” i quali, motivi per consegnare, ne trovavano sempre tanti, come la barba mal rasata, i capelli un po’ lunghi sul collo, le scarpe poco lucide, il posto letto non in ordine , ecc. ecc. oppure perché a certe reclute, scese dai monti e che, qualche volta, non distinguevano la destra dalla sinistra , i movimenti dell’ordine chiuso non riuscivano proprio precisi! E la cittadella aveva così la manodopera per essere tenuta pulita e i cucinieri avevano trovato chi …avrebbe pelato patate in abbondanza!

La caserma era una città nella città , coi suoi ritmi, colle sue tradizioni, certo anche di nonnismo ma di un nonnismo simpatico e che riusciva spesso a cambiare in meglio la recluta un po’ imbranata: certi vecchi caporali ,anche quando pareva si sfogassero colle reclute, in fondo li amavano quei giovani sradicati dalle loro famiglie e che non avevano mai lasciato la loro alpestre frazione.
C’era un momento della giornata importante, anzi più di uno: quando la tromba suonava l’attenti per l’alzabandiera la vita in tutta la caserma si fermava per qualche minuto: tutti, ovunque si trovassero, si mettevano sull’attenti mentre la bandiera saliva sul pennone e la stessa cosa accadeva la sera quando la bandiera scendeva dal pennone: perfino l’aquila che gracchiava nella grande gabbia sul lato sinistro del portone d’ingresso della caserma si taceva e sembrava mettersi anch’essa sull’attenti !

L’altro momento importante era rappresentato dall’arrivo, in caserma, del Colonnello Comandante: anche per lui squillava un poderoso attenti, la guardia si schierava vicino al portone, la vita, in caserma, si arrestava per un attimo; correva l’Ufficiale di picchetto , con la fascia azzurra, a comunicare le novità al Colonnello, a Penna bianca , come familiarmente chiamavano il Comandante gli alpini : si trattava, in poche parole, di dare l’immagine della caserma!
Poi , al suono della tromba, tutto riprendeva a muoversi e la giornata sarebbe stata piena fino a sera.
La sera, in libera uscita, i nostri alpini stavano alla larga da Piazza Maggiore ove, flemmaticamente, compivano la quotidiana passeggiata gli Ufficiali superiori e, se proprio dovevano passare da quelle parti, i nostri alpini si portavano dalla parte dei portici sottani perché i portici soporani erano territorio riservato agli Ufficiali, ai signori ed ai Professori delle numerose scuole della città.

Almeno due volte all’anno un movimento che non aveva uguali interessava la caserma e , di riflesso, anche la città: tutti si davano da fare, gli Ufficiali inferiori erano messi sotto presione dai vari Comandanti di reparto e tale pressione poi si ripercuoteva sugli alpini: quel mattino tutti erano pronti per la partenza per i campi estivi o per i campi invernali, due periodi di intensa attività lontano dalla sede ma necessaria per tenere in allenamento i soldati e per cementare di più il legame che ha sempre legato gli alpini tra loro. Si dice che “soltanto chi ha vissuto un buon periodo sotto la stessa tenda comprende che cosa sia la vera amicizia, un’amicizia che non si allenterà per quanto tempo, da allora, sia passato”.

Quel mattino, e quasi sempre ad ore antelucane, le vie di Mondovì vedevano passare il Colonnello ben sistemato sul suo cavallo bianco, seguito dall’Aiutante Maggiore sul cavallo nero, poi via via i reparti vari preceduti dai vari Ufficiali a piedi come gli alpini,, poi ancora i muli ben someggiati e condotti alla cavezza dai loro conducenti,e poi, a chiudere la lunga fila, i cariaggi : un lieto rumore svegliava la città anche perché, qualche volta, gli alpini, come a salutare la cittadella e Mondovì, cantavano. La caserma per un certo tempo restava quasi muta salvo un piccolo drappello di alpini per gli uffici e per i servizi vari; sulla porta degli esercizi pubblici, bettole, negozi, o dietro gli scuri delle finestre, occhi, spesso unidi di pianto, salutavano silenziosamente gli alpini che andavano… al campo; qualche volta anche gli alpini volgevano lo sguardo verso una finestra e ci giurerei che la commozione era reciproca; qualche volta una o più voci si alzavano per gridare “ciao bionda! ciao mora! “ e mai saluto era più gradito di questo!
Da quella caserma, però, qualche volta, la partenza era senza ritorno: la guerra, i fronti lontani, volevano il sacrificio di giovani vite che avevano negli occhi la speranza di una famiglia, un lavoro per sostentare i figli, un futuro: dalla Caserma GALLIANO partirono , nel 1896 per l’Eritrea, poi nel 1911 per la Libia, poi nel 1915 e negli anni seguenti per il Fronte Orientale, per l’Ortigara, per i monti ove fioriscono le stelle alpine bagnate dal sangue di eroi alpini; nel 1935 nuovamente per l’Africa Orientale, nel 1940 per il Fronte Occidentale e poi, a seguire, l’Albania, la gelata terra di Russia ove il I° Reggimento Alpini trovò l’altare per il sacrificio supremo.

E dopo ancora quanti alpini del nostro amato ed indimenticabile Reggimento pagarono, con la vita o con terribili sacrifici, l’amore per la libertà, l’amore per la Patria invasa ed oppressa! Sui monti o nei campi di concentramento “ “ la meglio gioventù” per mesi e mesi tenne alta la bandiera dell’onore e del sacrificio e dell’eroismo!

Giunse finalmente, ancora, il giorno della pace, la colomba, dopo il diluvio, volò ancora col ramoscello d’ulivo sulla Cittadella, lassù salirono ancora dei baldi giovani a prepararsi ad essere alpini ed il C.A.R. sfornò tanti altri meravigliosi alpini e quando, nel 1953, la Patria chiamò,nella Cittadella, ritornarono, a dare vita al Battaglione MONDOVI, i vecchi alpini di prima dell’8 settembre, coi giovani delle nuove leve, per prepararsi per l’esigenza TRIESTE che non richiese, per nostra fortuna, vittima alcuna: furono ancor quelli giorni frenetici e la Cittadella si dimostrò ancora una madre amorosa che accoglie i suoi figli e li ospita con tanto affetto come, d’altra parte, si dimostrò attenta e premurosa tutta la città. In seguito la Cittadella, inviato il MONDOVI nel Veneto, accolse alpini di altri reparti ma la grande storia alpina della Cittadella stava per finire, esigenze di natura finanziaria e militare consigliavano ed imponevano altre soluzioni e… gli alpini vennero trasferiti altrove.

La caserma GALLIANO non poteva stare vuota e, dopo secoli di storia gloriosa, parve ritornare alle origini quando in essa presero stanza gli Allievi Finanzieri che già due secoli prima in quella Caserma avevano fatto le prime prove di una storia altrettanto gloriosa come quella delle Truppe leggere.
E la Cittadella sfida i secoli ferma lassù come un faro ad illuminare il nostro cammino: ancora visibile ed ammirata da ogni punto del nostro Monteregale, bianca contro il cielo azzurro, azzurro come il colore di tutti gli Eroi che, dalla cittadella, volarono in cielo ove c’è, e noi ne siamo convinti, il Paradiso di Cantore che li attende per il premio dovuto agli Eroi.

Rimangono del tempo passato i bastioni, solidi come solido è il cuore degli Alpini, come è solida la storia degli Alpini, come solida è la natura degli abitanti delle zone da cui il I° Alpini si alimentava per formare i suoi reparti o per riformarli quando la tragedia si abbateva, senza scalfirne però la base eroica, contro i reparti sui vari fronti di guerra.

E Mondovì ha un compito importantissimo: non dimenticare e non lasciare che si dimentichino gli eroismi dei suoi figli con la penna sul cappello; Mondovì, città in cui la tradizione patriottica e culturale ha basi solidissime, siamo certi risponderà a questo invito che le migliaia di Caduti, tramite noi, le viene rivolto; Mondovì, per rispondere a questo appello, vorrà ancora educare i giovani nel culto degli Eroi e, anche quando la nostra generazione, l’ultima che ha vissuto in prima persona la guerra, non sarà più, gli Eroi troveranno sempre un cantore e un ammiratore e, vogliamo chiudere questo ricordo di una Caserma e soprattutto di chi quella Caserma ha animato ed in essa è vissuto,
con le parole di uno che non fu alpino ma degli alpini aveva il cuore e la mente , il Prof. Bessone, abile alpinista, che per il Cimitero – Sacrario di Certosa dettò: “A voi opere degne chiediamo!”

Battaglione Mondovì

ANNO 1872

L’idea del Generale Giuseppe Domenico Perrucchetti di costituire un corpo di reclutamento valligiano a difesa dei confini settentrionali del neonato Regno d’Italia viene approvata dallo Stato Maggiore e dal Ministero della Guerra.

ANNO 1886

Alle dipendenze del I° Reggimento Alpini viene costituito il Battaglione Mondovì, con tre compagnie: la 9a, la 10a, e l’11a del disciolto Battaglione Val Pesio

ANNI 1911-1913

Dal mese di novembre del 1911 allo stesso mese del 1913 il “Mondovì” partecipa alla campagna di Libia ( Guerra Italo-Turca).

ANNO 1914

Nel 1914 viene mobilitato per prendere parte alle operazioni della 1a Guerra Mondiale, e riceve la 114a Compagnia di Milizia Mobile.

ANNI 1916-1917-1918

Nel 1916 inquadra la 2a Compagnia del Battaglione ” Pieve di Teco” e contemporaneamente cede la 114a comp. Milizia Mobile, e dal mese di Marzo del 1918 fino a fine guerra incorpora una compagnia di Alpini Volontari.
Nella 1a Guerra Mondiale il “Mondovì” combatte sugli Altopiani , partecipando alla battaglia dell’Ortigara ,combatte anche in alto Isonzo , Valtellina , e sul Montello.

ANNO 1920

Nel 1920 , il “Mondovì” passa alle dipendenze del 2° Reggimento Alpini.

ANNO 1923

Ritorna nel 1° Reggimento Alpini.

ANNI ’40

Sempre col 1° Reggimento Alpini il “Mondovì” prende parte alla 2a Guerra Mondiale ; combatte sul Fronte Occidentale , in Albania , in Jugoslavia e in Russia.
Per la campagna di Russia si costituisce la 103a Compagnia Armi Accompagnamento .
L’armistizio dell’8 settembre 1943 trova il “Mondovì” in Alto Adige dove viene disciolto.

ANNO 1950

Viene costituito a Bra il Battaglione Addestramento Reclute del 4° Alpini con il nominativo di “Mondovì”.

ANNO 1953

Cessa di esistere come B.A.R. del 4° Reggimento e viene ricostituito col nominativo Battaglione Mondovì con le tradizionali Compagnie, 9a – 10a 11a-103a comp. mortai.

ANNO 1962

Il “Mondovì” viene trasferito il Friuli alle dipendenze dell’8° Reggimento Alpini.

ANNO 1975

In seguito alla ristrutturazione dell’esercito , il “Mondovì” viene disciolto per essere ricostituito in Piemonte (sua terra d’origine) come Battaglione Addestramento Reclute alle dirette dipendenze della Brigata Alpina Taurinense .
Il Btg. Mondovì , con sede a San Rocco Castagnaretta eredita la bandiera e le tradizioni del disciolto 1° Reggimento Alpini e inquadra la Compagnia Comando e Servizi, la 9a , la 10a , l’11a e la 103a (ex mortai).

ANNO 1997

Il 30 agosto alle ore 11 il Battaglione Alpini Mondovì cessa di esistere.
La Bandiera viene ripiegata e riposta nella custodia .
Su di un mezzo militare viene portata a Roma dove sarà depositata presso l’Altare della Patria a fianco di tutte le Bandiere dei Reparti che non esistono più…