I PRIMI NOVANT’ANNI DELLA SEZIONE A MONDOVÌ E NEL MONREGALESE

Di Ernesto Billò

Il corpo degli Alpini nacque in Italia nel 1872, e due anni dopo Mondovì già accolse le prime Penne Nere che alimentarono via via il 1° Reggimento e i battaglioni Mondovì, Ceva, Pieve di Teco. Presto andarono al battesimo del fuoco non sulle Alpi ma sulle ambe dell’Eritrea, poi in Libia. Nel 1915-181° loro Grande Guerra fu combattuta soprattutto sulle cime, tra ghiacci, tormente, assalti e trincee. La affrontarono con generoso coraggio e grave tributo di perdite e sofferenze.

Delle difficoltà, delle delusioni, delle paure condivise dall’intero Paese approfittò il fascismo per affermarsi, diventare regime e trascinare l’Italia in nuovi conflitti: in Africa nel 1935; poi in Spagna; poi nella Seconda sciagurata Guerra Mondiale dalla parte sbagliata. E in prima linea ancora gli Alpini: sul Fronte Occidentale contro la Francia nel 1940; poi in Albania, in Grecia, in Russia. Ma dal settembre 1943, alpini reduci da quelle avventure non esitarono ad alimentare, con altri, sui monti di casa, le file della Resistenza, mentre loro commilitoni sopravvissuti alle vendette degli ex alleati nazisti resistevano per quanto potevano nei lager e nei campi di concentramento…

L’Associazione Nazionale Alpini era stata fondata nel 1919 all’indomani della Grande Guerra mentre, tra forti tensioni, si discutevano condizioni di pace difficili da concordare. Mondovì si diede una propria sezione più tardi, dopo un lungo travaglio, tra il 1927 e il 1928, in anni caldi in cui il fascismo si era trasformato in regime. All’appello accorsero parecchi congedati; e la prima adunata si tenne il 6 maggio 1928: presenti il gen. Piva e il col. Gerbino Promis comandante del I Reggimento. Omaggio al monumento ai Caduti appena inaugurato; folto corteo e pranzo sotto “l’Ala”. Pochi discorsi, tanti ricordi; canti di trincea, brindisi e buoni propositi.

Sotto la presidenza del col. G.Battista. Manfredi cominciò una fervida vita associativa nello spirito dello statuto (“Tener vive le tradizioni e le caratteristiche degli Alpini; cementare i vincoli di fratellanza; curare l’assistenza reciproca… “). Nell’aprile ’29 cinquecento soci già parteciparono a un raduno romano, primo di tante adunate propiziatrici d’amicizia e di solidarietà in città sempre diverse, senza trascurare però i contatti con le realtà più piccole, che conobbero anch’esse una fioritura di gruppi e di cerimonie.

A Mondovì nella sede iniziale presso l’ex Società Operaia di via Biglia, il col. Manfredi aveva al fianco il cappellano don Pietrin Rossi, “il più alpino degli alpini”. Intanto le “Patronesse”, prodighe di assistenza a famiglie dei soci bisognosi, si attivavano pure per l’annuale “Veglia Verde “ al Teatro Sociale di Piazza. Per chi coltivava velleità sportive si alternavano gare di sci, tiro a segno, bocce…

All’adunata di Napoli, nel 1932, andarono di nuovo in cinquecento a far ballare i “mondàj” sul fuoco del Vesuvio, mentre altri gruppi spuntavano in zona come funghi. Nel ’35 ci fu la consegna delle “drappelle” al battaglione Pieve di Teco che partiva per l’Africa con il col. Reteuna; due anni dopo fu inaugurata a Piazza una lapide ai Caduti di quell’impresa. Poi, nel ’38, nella caserma Galliano, consegna della Medaglia d’Oro al I Alpini e impegno per un sacrario ai Caduti di tutte le guerre.

Si approssimava però un nuovo conflitto con alleati poco raccomandabili; e più d’un socio prese a disertare le manifestazioni patriottiche per le quali era richiesta la camicia nera, oltre al cappello alpino. Le nuove leve, e poi altre meno nuove, vennero spedite a preparare sui monti di casa il Fronte Occidentale.

Scoppiò la guerra sciagurata, e nelle case e in sede restarono solo più i “veci” coi loro ricordi e i brutti presentimenti. Più volte i gagliardetti sezionali si listarono a lutto; più volte s’inchinarono a partenze strazianti.

Dopo mesi e anni di trepidazioni accolsero i ritorni di soldati stanchi, smarriti, reduci da chissà quali inferni. Ma tanti non tomarono: caduti, dispersi, prigionieri. Sofferenze ed eroismi sacrificati a un folle disegno, a un’alleanza disastrosa. Tra i vuoti, anche parecchi dirigenti e soci. Fra quanti riuscirono a tornare, dopo l’Armistizio dell’8 settembre ’43, non pochi portarono la loro esperienza fra i ribelli della montagna.

Nell’aprile ’45, cessata la bufera, si contarono le perdite e le ferite; si meditò sui sacrifici e si affermò una volontà di pace e di ripresa. Le Penne Nere tornarono nell’antica caserma Galliano in una città amica e affezionata: fino ai ridimensionamenti, al trasferimento, alle amare soppressioni. Alle Penne Nere tuttavia successero le Fiamme Gialle della Scuola Allievi, accolte a loro volta come in famiglia, ma poi trasferite anch’esse con unanime rimpianto. A tener vivi quei ricordi e lo spirito alpino e civico sostanziato di amicizia, altruismo, solidarietà restò (e resta) I’A.N.A., col richiamo agli ideali, con le molteplici occasioni di impegno e di incontro dei tempi normali, e le realizzazioni sollecite e concrete dei momenti eccezionali.

Fra il 1947 e il ’48 la vita sezionale fu guidata dal col. Gino Bernardini e dal geom. Carlo Adriano, mentre la Caserma Galliano s’andava ripopolando: prima con tre compagnie del “Saluzzo,” poi – dal ‘ 53 – col “Mondovì” fino al ’62, quando venne sostituito dal C.A.R. Alpino. Nel maggio 1949, tutti mobilitati per le Medaglie d’Oro al I Reggimento e al IV Artiglieria Alpina sacrificatisi sul fronte russo. Le appuntò Luigi Einaudi, limpida figura di Presidente della Repubblica figlio della nostra terra. Erano con lui i ministri Pacciardi e Bertone e il sindaco Manessero.

La vita sezionale crebbe d’intensità e di risonanza. Nel 1952 al presidente Adriano succedette l’avv. Felice Giusta con lo scrupoloso segretario Francesco Giordano. Fino al ’74 Giusta fu – con qualche pausa – una guida autorevole e insonne per adunate da un capo all’altro d’Italia, visite, sfilate, musiche e cori, castagnate, incontri transfrontalieri.

Nel ’54 spuntò il periodico “Tranta Sòld” riecheggiante nel titolo la gagliarda marcetta del I° Alpini. Nel ’58 Garessio inaugurò un ricordo alla madre dell’Alpino, e altri gruppi si diedero da fare per un monumento, una targa, un raduno. Anche la nuova chiesa del S. Cuore in Mondovì Altipiano ebbe un altare e una lapide a ricordo dei Caduti in Russia, e da allora ogni gennaio si riempie di commozione e preghiere nel ricordo della tragica epopea culminata a Novo Postojalowka. Ma si andava pure in pellegrinaggio sul Grappa e l’Ortigara, si partecipava in massa ad adunate nazionali. Intanto si spostava la sede da via Funicolare in via Beccaria con tanto di “Osto ‘d famja”. La toponomastica cittadina ricordava definitivamente il I° Reggimento Alpini, il Monte Ortigara, le M. O. Havis De Giorgio, Sandro Annoni, Luigi Manfredi. E per otto anni, dal ’71, si affiancava “Tranta sòld”, poi ribattezzato “Mondvì ardì“, un vivace “Notiziario del gruppo del Ferrone” redatto dal baffuto maresciallo Bottero.

Nel ’74 a Felice Giusta succedette G. Franco Borsarelli, che richiamò l’impegno a fare cose utili e nobili per il Paese, la montagna e la sua gente. Suscitò malumori il trasferimento da Piazza a Paluzza del battaglione “Mondovì”, e si trepidò per la sorte della caserma Galliano, che lì per lì non rimase vuota perché amministratori e politici ottennero prontamente che alle Penne Nere subentrassero le Fiamme Gialle della scuola Allievi

Nel 1976 il disastroso terremoto in Friuli ebbe la pronta solidarietà di Sezione e gruppi. Si raccolsero cospicui fondi e materiali e oltre settanta volontari in più turni, come accadde poi in altri casi di calamità, lontani o vicini a noi. Ma si lavorò pure a trasformare in Soggiorno Alpino gli ex capannoni militari di Valdieri, al rifugio Sandro Comino sul Cars (su spinta dei roccafortesi) e al rifugio di colle dell’Agnello in alta Val Varaita, che richiese cinque anni di lavoro a quelli del Ferrone. Nell’81 il gruppo di Villanova completò il rifugio “Merlo” alla Balma di Frabosa; poi il gruppo di Rifreddo si  rimboccò le maniche per far risorgere dalle rovine di guerra il rifugio della Navonera sull’Alpèt. Nell’ottobre ’77 a Felice Giusta fu intitolato il soggiorno di Valdieri, che offrì anche serene settimane a decine di ragazzi portatori di handicap.

Dal 1978 1’ANA assicura un sostegno determinante al nucleo di Protezione Civile; ma punta pure a una fanfara sezionale, al coro sezionale, al museo del I* Alpini (1987) inizialmente curato da Roberto Arnaldi in una cappella sconsacrata di via Vasco, poi trasferito in Cittadella e ora a Breo presso la Funicolare. Le associazioni d’arma ottennero che ogni sera dalla torre del Belvedere una campana mandasse rintocchi a ricordo dei Caduti di tutte le guerre, e che nelle feste patriottiche si accendesse un faro tricolore visibile ad ampio raggio. E ogni autunno si tornò al Santuario di Vico per ricordare la nascita del Corpo degli Alpini. Nell’86 i soci erano 2685; i gruppi 51. Si partecipò a viaggi in Canada e in Russia: dove nel ’93 si contribuì a edificare un asilo a Rossosch, che nel duro gennaio del ’43 era stata una tappa del dramma della “Cuneense”.

Nel novembre del ’94 per l’alluvione del Tanaro gli Alpini furono fra i primi a intervenire, infaticabili ed efficienti; e Francesco Rocca, sindaco alpino di Bastia, si meritò il premio “Alpino dell’anno” avendo impegnato la propria casa per ridare un accesso a due borgate isolate dall’acqua, La mobilitazione proseguì per prevenire altri disastri di torrenti, fiumi, canali. Nel ’98 si sperò di ospitare l’Adunata Nazionale a Mondovì, ma la spuntò Padova. E si salutò con le lacrime agli occhi l’ammaina bandiera del Battaglione Mondovì inviata a Roma al Museo delle Bandiere presso l’Altare della Patria. Tante anche le perdite fra i soci ed amici; ma nel loro ricordo si proseguì fiduciosi, in un succedersi di validi presidenti, dirigenti e iniziative.

Ora, con 90 anni di vita alle spalle, pur nel mutare degli eventi e delle condizioni, I’A.N.A. Mondovì e i suoi gruppi mantengono una presenza significativa e vitale in un clima d’amicizia, a contatto con la gente, con questa terra e i suoi problemi, onorando lo spirito alpino e le memorie gloriose come quelle dolorose.